1,30.

Domenica mattina, presto.
C’è poca gente nel camposanto.
È la mia giornata libera.
O quasi.
Devo solo togliere un marmo per l’inserimento delle ceneri di domani: roba di mezz’ora.
Non ho nemmeno i vestiti da lavoro ma jeans, camicia e cappellino; le antinfortunistiche nuove sembrano scarpe da ginnastica.
Mentre raggiungo il magazzino mi passa davanti una signora che ha lo sguardo fisso a terra, la camminata lenta e dimessa. Non alza la testa, forse così vestito mi scambia per un visitatore.
Mi trasmette una scomoda tristezza.
Passo pochi minuti a prendere gli attrezzi poi cerco il marmo e comincio a smontarlo; con la coda dell’occhio vedo la stessa donna che entra in un’altra galleria.
Impugna un mazzolino di fiori.
Prima non l’aveva, sono sicuro.
È quello da un Euro e trenta.

Lo so perché in settimana un’anziana si lamentava che le rubano le piante. Era arrabbiata e non capiva perché sparisse sempre lo stesso vasetto, quello più piccino, quello da uno e trenta, quello che mi scuoteva davanti agli occhi come se fossi il ladro: – Mi è toccato comprarlo di nuovo – diceva – È proprio un dispetto, una vergogna – parlava adesso rivolta al loculo del suo caro – Come si fa a essere così cattivi – spizzicava i rami delle sue piante per allargarle – E non è successo solo a me.

Ho il cuore appesantito dal sospetto.
Fingo di fare altro e rimango nei paraggi, la signora si ferma davanti a un loculo.
Si segna, posa un bacio sulle dita, poi le appoggia in un punto che da qua non vedo.
Prendo una scopa per scusare il mio passaggio. Sta davanti a una nicchia senza marmo, la luce spenta, sul foglio provvisorio c’è la data del funerale: 2016, gennaio.
E non c’è il marmo.
Dopo tanto tempo è insolito.
La foto di un uomo la fissa sorridente.
Scuote un centrino fatto a uncinetto, prende uno straccio dalla borsa e spolvera la base grezza della muratura che fa briciole di continuo.
È come spazzare una spiaggia.
Sistema di nuovo la piccola stoffa rotonda, posa su quella il mazzolino.
– Buongiorno – le faccio.
Le esce una voce graffiata – Buongiorno.
Mi sorride stirando il solo labbro superiore, non muove altri muscoli del viso, mi guarda appena.
– Sono il custode, se ha bisogno di qualcosa mi trattengo ancora un po’.
Che diavolo le dico? Non sono mica bravo in queste cose. E se non è la ladra? E se quel mazzetto era già nella borsa? E se… Ma non ci credo neanch’io.
In questa frazione di tempo metto a fuoco la sua immagine: la borsa è scucita in più punti, il vestito strusciato e logoro, le carpe scolorite.
Una ladra?
Sembra più una persona che cerca di restare appesa con gli artigli alla realtà, con una dignità che non ha più voglia di dimostrare nemmeno a sé stessa.
– Sa – fingo di guardarmi attorno – Non lo dica in giro ma, il fioraio qua fuori getta sempre molti fiori: non sono mica appassiti, è che deve selezionare i migliori: gli parlo? – strizzo l’occhio – Tanto li butta via.
Esce una risata gutturale: – Come al panificio, il sacco di pane per le galline costa un Euro… ma io non ce l’ho mica le galline.
Esce ancora quella risata, esce quasi per forza, come se la strappasse dal fango, accompagna tutta la frase.
La saluto, rimango col dubbio: Avrà capito?
Appena girato l’angolo mi arriva da lontano l’ultimo graffio.
– Grazie!

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