Siamo impegnati nell’estumulazione ordinaria di alcuni loculi. E’ stata una giornata complicata perché abbiamo trovato dei corpi mummificati. Di alcuni i rispettivi familiari hanno deciso per il riseppellimento quinquennale; un paio hanno optato per la cremazione.
Per comunicare tra di noi la possibilità o meno di ridurre dei resti umani, utilizziamo la formula “E’ fatto”, “Non è fatto”. Poi il responsabile riferisce ai cari presenti la notizia, con formule più consone.
L’ultimo intervento del pomeriggio è stato indimenticabile.
Abbiamo tolto il marmo. La donna che raffigura è lì dentro da oltre trent’anni. Appena smurati i mattoni che sigillano il loculo, ci siamo trovati di fronte a un feretro praticamente intatto.
Solitamente sulla cassa attecchisce la muffa, si sfoglia la vernice, oppure il legno è così logoro da sembrare sughero. Quella cassa invece, togliendo un po’ di opacizzazione dovuta forse all’umidità, sembra appena messa.
Inseriamo il vassoio d’acciaio su cui poserà la cassa per l’intera operazione e notiamo che è sigillata da tre fasce di alluminio. All’epoca della tumulazione era obbligatorio metterle per i defunti che arrivavano da fuori comune.
I familiari ci confermano che la donna era morta in un ospedale fuori zona.
Togliamo il coperchio di legno, apriamo quello di zinco (nei loculi, nei sepolcreti e nelle tombe di famiglia è obbligatorio che il corpo sia prima deposto in un feretro sigillato di questo materiale e quindi nella cassa di legno).
All’interno il corpo è avvolto in un telo di plastica. Oggi esistono materiali biodegradabili, ma un tempo per effettuare lunghi viaggi e evitare che ci fosse dispersione di liquidi, veniva usava la comune celluloide trasparente.
Nonostante il mio paio di guanti belli spessi, sollevo i lembi del telo con due sole dita, lentamente. Mi aspetto l’ennesima mummia, invece il corpo della donna si è mantenuta in maniera incredibile, ad eccezione di un pallore giallognolo del viso.
Era piuttosto anziana al momento della morte ma nel tempo trascorso ha conservato le rughe del volto, le labbra (mentre di solito nei corpi mummificati sono consumate) e sotto le palpebre chiuse si nota ancora la sfera del bulbo oculare. E’ un tessuto talmente molle che si consuma precocemente nei primi processi di decomposizione. Infatti, nei corpi non mineralizzati, di solito le palpebre ripiegano all’interno dell’orbita, su un occhio probabilmente atrofizzato.
Non avevo mai visto niente di simile. Per la prima volta ho provato la reale sensazione che quel corpo non fosse morto ma dormisse semplicemente e che da un momento all’altro potesse alzarsi e andarsene coi suoi piedi.
Può darsi che al momento della morte abbiano effettuato sul corpo della donna un’iniezione di mantenimento che, in combinazione con la chiusura nella plastica e la sigillatura nello zinco, ha permesso ai tessuti di rimanere intatti.
Sono così stupito da non accorgermi che nel frattempo un familiare si è avvicinato: “Come va?”
Mi volto e mi scappa un “Non è fatto”.
Arrossisco un po’. La prossima volta sarò più formale.
Promesso.