Storie di vite

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I defunti ci parlano.

Spesso questa frase è riferita al suo significato soprannaturale, soprattutto nella fiction, al cinema o sui libri.

Nella realtà i defunti ci parlano davvero; un linguaggio muto, espresso dai loro familiari, che accompagnano l’addio del corpo di un loro congiunto, depositando qualcosa che ha significato molto in vita.

Questi oggetti tornano alla luce con i loro accompagnatori, dopo un viaggio che dura, a volte, decine di anni.

Un viaggio allucinante, immobile eppure mutevole, durante il quale accadono eventi chimici così sorprendenti, da essere paragonati solo a quelli che avvengono durante la nascita.

Gli oggetti assistono passivi a questi cambiamenti, cambiando a sua volta per le sostanze con cui vengono in contatto. E si muovono, a causa del corpo che si dissolve ma quando tornano alla luce raccontano una storia.

Al momento di un’esumazione questi oggetti sono il ponte che collega il presente al passato, ai momenti intimi che hanno rappresentato, alla quotidianità che hanno descritto.

E i familiari  si stupiscono della presenza di un cappello o un accendino, una bottiglietta o un libro, un disco o una coperta ripiegata sul petto; come se il tempo trascorso dalla chiusura di quel feretro, fosse una distanza reale, un viaggio fisico verso una destinazione identica, che può durare una vita intera e durante il quale un oggetto può anche essere smarrito.

E invece resta lì, fedele come un cane, puntuale e sorprendente a rammentare a cosa è servito, a cosa ha significato per quei resti, quando erano vivi.

Perchè alla fine, sia per i vivi che per i morti, l’unico viaggio reale è quello della memoria.

 

Le gazze ladre

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I mesi di novembre e dicembre, che legano la ricorrenza dei defunti e le feste di Natale, sono incredibili

Un vortice che non concede tempo; i cestini sembrano riempirsi da soli per qualche misteriosa legge fisica: sono continuamente stipati di vecchi fiori, vasi, vetri rotti, bottiglie di plastica; il tempaccio lascia tracce di scarpe anche dentro le gallerie coperte; gli odori sono forti, avvolgono le narici, fanno starnutire; si passa al setaccio il cimitero, scopa alla mano, per cercare di tenere puliti i corridoi.

Le pubbliche relazioni si intrecciano al lavoro manuale.

Molti non ricordano dove sia la tomba che stanno cercando e, se sono fortunati, il cimitero ha un ufficio sempre aperto e un custode che può accedere al database computerizzato, altrimenti si deve usare l’intuito per cercare di accontentare la gente.
Capita di vedere persone molto anziane, talvolta anche claudicanti, che vincono le proprie difficoltà per riuscire a portare un saluto alla tomba di un loro caro;
bimbi piccoli che cercano di capire in quale nuova avventura siano capitati, guardandosi intorno tra stupore e timore.
Qualcuno fa l’arrogante, sebbene si presenti al cimitero solo in questo periodo, e si lamenta che non ci sono abbastanza scalei, o scope o cassette per raccogliere i rifiuti, senza pensare che intorno a lui stanno gravitando decine di suoi simili che hanno già preso quegli oggetti; basta aspettare che tornino a riporli, con un po’ di pazienza.

Alla sera le gambe fanno male, i piedi bruciano e la schiena reclama il materasso, però ci si addormenta felici, perché della maggior parte delle persone rimangono i sorrisi, i ringraziamenti per avere rialzato una tomba la cui terra aveva ceduto o per aver sostituito una lampadina bruciata.

E poi, proprio mentre la veglia sta per lasciare il passo al sonno, torna alla memoria quella vecchia signora dai capelli bianchi che si avvicina e mi acchiappa un braccio con la mano piccola e rugosa. Una presa che si trasmette lieve, delicata e incerta. Si guarda intorno, assicurandosi che nessuno la senta e si avvicina per parlarmi in un orecchio:

– Non c’è più bene! – Si distanzia, mi guarda complice, poi torna vicina – Io lo so, perché parlo con le gazze ladre sa? Me lo hanno detto loro: non c’è più bene; questi qua – Avvolge con un gesto tutto il cimitero – Sono tutti fiori finti! La gente non ne porta più di quelli veri e qui rimane tutto finto, tutto morto. Questi – Scuote il mazzolino che tiene nell’altra mano – Questi sono veri ma quando morirò io, che succederà? Vedrà che spariranno anche le gazze ladre.

Pone il mazzolino nel contenitore di un loculo e si allontana, fissandomi con uno sguardo complice, perché solo lei è a conoscenza di questo segreto e lo ha rivelato proprio a me.

Arriva al grande cancello in ferro battuto si volta un’ultima volta, alza un braccio per salutare e allontana nella prospettiva della grande siepe che costeggia il viale esterno, fino all’uscita.

Gli occhi mi si riaprono e per fortuna ho la certezza che non è stato un sogno, quella vecchina ha incrociato davvero la mia vita oggi.

Le gazze bianco , nere e impertinenti sono le altre custodi del cimitero; girano tra gli alberi, azzardano a entrare dentro a un loggiato, scappando impaurite quando qualcuno si avvicina.

Mi viene un pensiero sciocco, mi sale un brivido lungo schiena; penso che domani passerò di nuovo di là e non sarò tranquillo finché non avrò visto che la foto su quel loculo non è quella di una simpatica vecchina dai capelli bianchi…