Per ironia della sorte…

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L’ironia nel mio lavoro è sempre fuori luogo.

A meno che a farla non siano i diretti interessati (quelli vivi, intendo).

Però talvolta si presentano delle situazioni paradossali che strappano un sorriso alle persone che si trovano al cospetto del defunto.

Ho raccolto alcuni episodi che sono accaduti in mia presenza, in seguito ai quali neppure il dolore della morte ha impedito ai familiari di ridere di cuore o astrarsi totalmente dal dolore della perdita.

Polvere… sulla polvere.

Durante un servizio funebre (di quelli in cui vestiamo eleganti) siamo nell’abitazione del defunto per chiudere il feretro, quindi portiamo i fiori all’esterno e restiamo ad aspettare fuori dalla porta d’ingresso: deve arrivare il sacerdote a fare la benedizione. Capita assai spesso che qualche amico o parente alla lontana, si intrometta nel nostro lavoro o nelle faccende della famiglia che ci ha chiamato e voglia in tutti i modi rendersi utile.

Stavolta ce n’è uno che si è messo in testa di aprire l’anta della porta esterna, per farci uscire meglio con il feretro. Ma l’anta non vuole saperne di aprirsi. L’uomo è così determinato nell’intento che corre nel suo garage e torna con la borsa degli attrezzi. Mentre il prete da la sua benedizione finale, lui sbatte con martello e scalpello, coprendo tutti gli altri suoni comprese le preghiere, finché l’uscio non si apre scricchiolando.

La figlia del defunto si affaccia inviperita ma appena vede che sotto la piccola anta c’era un dito di sporco, tutto il dolore sparisce, corre a prendere detersivo e spugna, per pulire in tutta fretta. Durante l’operazione ripete, a mo’ di litanìa: – che figura, che vergogna! – Così che tutti i presenti si accorgono dello strato di polvere che altrimenti sarebbe rimasto inosservato ad eccezione, forse, di qualche vecchia comare del condominio.

Una caduta di … stile.

Altro funerale con il vestito elegante. Il figlio vuole che il prete benedica la salma prima della chiusura. È inverno e aspettiamo il sacerdote all’interno della grande stanza che la famiglia ha destinato a camera ardente. Non siamo più di dieci persone.

L’uomo di chiesa è in ritardo e i presenti cominciano a spazientirsi, finché non suona il campanello. Due di loro scendono per accoglierlo. Il prete di quel posto è un omone alto e robusto, piuttosto anziano. Dalla nostra posizione non vediamo la porta d’ingresso, prima della quale ci sono due rampe di scale da salire.

Sentiamo l’eco della vociona del sacerdote e quella dei familiari che parlano; sono ancora fuori dall’abitazione. Ad un tratto un mugugno interrompe la conversazione, la nipote che era scesa per le scale urla e subito dopo si sente uno schianto e un lamento di dolore. Altre due persone escono dalla stanza per accertarsi dell’accaduto.

Un paio di minuti dopo una di loro rientra col sorriso sotto i baffi: – E’ caduto il prete, è inciampato sul pianerottolo ma non si è fatto niente. E’ seduto su uno scalino, gli porto un bicchiere d’acqua.

Non finisce di parlare che la voce si distorce per trattenere uno sghignazzo: – Ha fatto un volo! – Esclama scuotendo la mano come in un saluto. I familiari ancora nella stanza cominciano prima a sogghignare, poi un paio di loro si lasciano andare in una risata liberatoria che coinvolge tutti i presenti.

L’uomo di casa, ancora sorridente, si avvicina al padre e lo carezza sul viso: – Scusaci papà, ma se da qualche parte davvero ci vedi, sono sicuro che ci perdonerai – e gli schiocca un bacio sulla fronte.

Noi cerchiamo di rimanere impassibili e sembra che ci riusciamo perché il figlio si scusa addirittura con noi per la sua reazione.

Brum.

Siamo al cimitero per un seppellimento.

Arriva il corteo funebre e dopo i rituali siamo pronti per calare il feretro nella fossa. Tra la folla si fa notare un bambino che non può avere più di due anni. Scorrazza dappertutto e la madre fatica a tenerlo.

Quando il mio collega sale sull’escavatore per ricoprire lo scavo la signora richiama l’attenzione del ragazzino: – Guarda tesoro, guarda come fanno questi signori a ricoprire la buca – Al che il piccolo si ferma ad osservare.

L’escavatore si accende con uno sbuffo nero che esce dallo scappamento.

Il bimbo sgrana gli occhi, si volta verso la mamma e le dice tutto impressionato: – Mamma! Tato brrum, cacca!

La tensione si stempera e i familiari abbracciano il piccolo celebrando la sua tenerezza, qualcuno ride, altri cominciano a chiacchierare.

Anche per noi adesso è più lieve concludere il lavoro.