Stiamo liberando alcuni sepolcreti che in seguito verranno demoliti.
Arriva una vecchina, piccola e grinzosa, con un sorriso così delicato e sincero che mette di buon umore solo guardarla.
Si avvicina e incrocia le braccia sul grembo. Le indichiamo la prossima tomba da liberare – E’ una familiare?
– Era mio marito – dice facendo seguire un istante di silenzio pieno di ricordi che le accentuano il sorriso – Siamo stati insieme per venticinque anni. Mi ha lasciato qualche giorno prima di poter festeggiare le nozze d’argento.
La guardiamo in silenzio perché nei nostri silenzi loro sentono partecipazione; hanno bisogno di venire ascoltati, non compatiti.
Continuiamo a fare l’operazione di apertura del feretro e al momento di togliere il coperchio di zinco, l’ultima barriera che separa il mondo dei vivi da quello dei morti, la signora torna da noi.
– Aspettate per favore – Apre la borsa che tiene a tracolla e ne estrae un piccolo fagotto bianco.
– Non posso permettermi un ossario murato – Dice mantenendo sorriso e dignità – Se fosse consumato lo dovrete mettere nell’ossario comune, però… – Ci allunga il piccolo fagotto da cui sbuca un merletto – vorrei che prima di infilarlo in quel posto tetro, metteste le ossa qui dentro, così rimarrà tutto insieme.
E’ una federa.
Ci capitano spesso richieste di questo tipo, per impedire fino all’ultimo di disperdere un nostro caro tra mille altri.
La salma è pronta per essere ridotta. Disponiamo le ossa nella federa come se componessimo un piccolo mosaico. Lo posiamo nell’ossario comune.
Il sorriso della signora si accentua ancora e si stringe nelle spalle, come se abbracciasse un ricordo e bisbiglia: – Tesoro mio, ne ha viste quella federa di cose… – Sulle piccole guance due rossetti la colorano di una tenerezza infinita, che vorrei togliermi i guanti e riempire quell’abbraccio col mio.