Piccola grande donna

s-l225

La fossa è pronta.

L’escavatore è spento a ridosso del cumulo, i giunti idraulici fanno ancora rumore e sembra una bestia che aspetta la preda.

Il protagonista della nostra giornata è un giovane uomo: i verbi della sua vita resteranno coniugati al passato.

Quello che sappiamo delle persone che arrivano, lo leggiamo sui manifesti funebri appesi in città. Quando varcano l’ingresso del cimitero è sempre una sorpresa.

Di solito fissiamo il feretro, per non incrociare gli sguardi dei familiari. Il loro dolore lo possiamo già ascoltare, così preferiamo non doverlo anche leggere.

Ma quando nella prima fila c’è qualcuno che non supera il metro e mezzo, nasce una sorta d’istinto innato che ti obbliga a partecipare, a essere coinvolto, specialmente se il defunto è così giovane.

La bimba non può avere più di sette anni e cammina incredula, occhioni spalancati, guardando per terra. Una mano sta in quella della madre, l’altra stringe qualcosa.

Caliamo la cassa e aspettiamo che il parroco faccia il suo mestiere.

La gente parla; tra i discorsi ne filtra uno:

– Poverina, è così piccina che non sa nemmeno cos’è la morte.

Poi tocca a noi.

Ci avviciniamo alle due estremità del cumulo di terra, dove abbiamo infilato le pale: – Possiamo procedere? – Chiediamo.

La bimba alza la testa a guardare la madre; le scuote la mano e lei sembra tornare: – Aspettate, per favore. La bambina voleva mettere una cosa sopra…

Sempre per la mano si avvicinano tutt’e due.

La piccola lancia qualcosa che cade laggiù, sopra al tappo.

Guardo.

Il mondo si dissolve e vedo soltanto quel piccolo oggetto caduto sulla bara.

E’ di Pyssla.

Le usa anche mia figlia.

Sono quei piccoli cilindretti colorati, usati per costruire immagini o parole, sopra piccole basi; vanno coperte con carta da forno e stirate. I cilindri diventano morbidi e si schiacciano quel tanto che basta per rimanere tutti attaccati insieme.

Come gli affetti.

Quei cilindretti sono un messaggio scritto.

Da sopra si legge alla rovescia.

“ENEB OILGOV IT”.

Mi si piegano le ginocchia quando penso che l’importante è che si legga di sotto.

“TI VOGLIO BENE”.

Forse i bambini non comprendono la morte, ma sanno interpretarla benissimo.

Casa di riposo

memorizzare-un-mazzo-di-carte

Siamo gli unici così eleganti.

Anzi no, c’è un signore che va in giro, senza meta. Sembra uscito da un libro dell’800 vittoriano.

Il personale ci vede passare e sorride, mentre gli anziani guardano cupi per poi tornare alle loro attività; qualcuno ci chiede se andiamo a un matrimonio e ride, cinico.

Passiamo velocemente dalla grande porta del refettorio, per non turbare la loro giornata.

Arriva una zaffata di pipì e disinfettante.

La direttrice ha già tutti i documenti: possiamo procedere alla chiusura del feretro.

Saliamo le scale ricoperte di moquette rossa, fissata a terra da piccoli tubicini dorati. Qualcuno manca e il tessuto si è sollevato. Picchio sulla spalla del collega che mi sta davanti, glielo indico con un gesto del mento. Lui capisce.

Quando scendiamo, dovremo stare attenti a non inciampare.

La piccola stanza adibita a commiato è completamente bianca: ha un crocifisso di metallo invecchiato, o vecchio per davvero, una fila di sedie azzurre e un tavolino bianco.

Ci appoggio la valigetta.

L’impresario parla coi familiari: ci aspetteranno in chiesa.

Appena se ne vanno si avvicina uno degli ospiti e si guarda attorno come se fosse in incognito.

Entrando si prende due lembi della camicia, ci guarda e affranto li tira, come a scusarsi per non essere abbastanza elegante.

Allunga un braccio indicando la cassa.

– Sono il suo migliore amico – Ci dice – Non posso venire al funerale.

La parola si conclude soffocata da un singhiozzo.

Ci guarda languido – Lui capirà: a me in chiesa mi ci hanno visto solo per il battesimo.

Dice che da quando si sono conosciuti, lì dentro, si sono fatti forza, che erano due campioni di briscola e che insieme sono riusciti a trascorrere delle giornate quasi normali.

Lo indica di nuovo.

– Due anni fa mi aveva anche invitato a casa sua per Natale, il figlio aveva accettato ma… – Ride e piange insieme, prende un fazzoletto e si asciuga – Gli ho pisciato sulla sedia, e allora per Pasqua dovette inventarsi una scusa… ma io lo capisco.

Controlla che non arrivi nessuno dal corridoio, prende un mazzo di carte dai pantaloni e lo mette nella cassa.

– Non lo dite all’inserviente, che sennò si arrabbia: qui i mazzi sono contati.

Gli facciamo un gesto di complicità, lui ricambia con una strizzata d’occhio che gli piega il viso fino al collo e se ne va sorridente.

Chiudiamo e portiamo fuori il feretro.

Ritroviamo il migliore amico appena fuori dall’uscio; mette la mano sul legno come se fosse la spalla del compare.

– Eh, adesso soltanto i solitari mi toccherà fare, qui non ci capisce niente nessuno di carte –

Ci guarda.

– Io in chiesa non c’entro neanche morto: lui capirà.

Non ammette neppure a sé stesso che non potrebbe portarcelo nessuno in chiesa, senza permesso.

Se ne va e sorridendo, mastica tra i baffi una bestemmia.

Il giardino segreto

324006680-wildes-rumaenien-inquietante-misterioso-tronco

Ci sono posti segreti, nascosti alle intenzioni anziché agli occhi.

Ce n’è uno in ogni comune.

Lo puoi trovare accanto al cimitero, coperto di ulivi, di prati all’inglese, o di viti, che vecchi contadini si ostinano a coltivare anche se quella terra non gli appartiene più.

Può essere anche altrove, vicino a un ruscello, coperto da macchie di bosco selvaggio e funghi, oppure rivelarsi arido e roccioso se la terra di quel posto è poca e avara.

Vedrai caprioli saltarci nella stagione degli amori, oppure piccole lepri allontanarsi dall’odore di una volpe o dal fucile di un bracconiere.

Possono variare in grandezza e dimensione e puoi passeggiarci sopra con lo spirito leggero e spensierato, o preso dal tumulto di una passione.

Non troverai nessuna mappa a indicarli e rari sono i carteggi che ne parlano.

Non metterti alla loro ricerca, sarebbe ardua.

Oggi ne ho visto uno e l’ho fissato per interminabili istanti, preso dall’inquietudine del mistero della vita. Dall’ossessione che in ogni luogo c’è questo mostro che dorme.

E il risveglio è delirio.

Perché i paesi che scoprono questi luoghi sono colti da sventura.

Mi piace chiamarli giardini segreti.

I comuni devono catalogarli con altro nome: spazi adibiti a sepoltura per calamità naturali.