Confusione

Escher

L’altro giorno stavo tagliando l’erba in un cimitero, avevo il decespugliatore acceso.

Mi sono voltato e ho notato un’anziana signora che si sbracciava per attirare la mia attenzione.

Dopo venti minuti che usi il frullino – come chiamiamo dalle nostre parti questo aggeggio col filo che ruota – non puoi sentire una voce che ti chiama, puoi solo immaginarti che qualcuno nel frattempo è arrivato per chiedere qualcosa.

Spengo l’arnese e mi avvicino. Sembro un maniscalco: guanti, un lungo grembiule marrone, cuffie, caschetto e visiera protettivi.

– Buongiorno signora, mi dica.

La signora muove l’indice della mano mentre mi chiede se conosco dov’è la tomba di…

Non finisce il discorso.

Si tocca le labbra preoccupata, poi continua a muovere l’indice:

– Volevo sapere… – si prende piccole pause tra le parole – Sa, la tomba per terra…

La fisso. L’espressione degli occhi è così diversa dal resto del viso che sembra le abbiano appiccicato quelli di un’altra. Conosco quello sguardo mesto e distante.

Adesso tentenna sconsolata la testa, si agita:

– Come posso farle capire…

– Stia tranquilla signora. Ha un familiare qui sepolto?

– Ecco, bravo: mio marito… Per terra.

– Ricorda qual è la tomba?

Resta silenziosa e si guarda attorno. Allora continuo:

– Come si chiamava?

Tra le pause mi dice un nome e un cognome.

– Venga, mi segua che il cimitero è piccolo – Comincio a togliermi la bardatura che indosso –  leggiamo insieme i nomi sulle lapidi.

Mentre cammino lei mi prende a braccetto.

Sembra una bambina.

Le leggo i nomi ad alta voce mentre indico le foto, ad un certo punto mi strattona.

– Eccolo, è quello lì – Mi guarda riconoscente – Grazie, grazie! Adesso gli dico una preghiera.

Si mette compita a fissare la lapide.

Mentre aspetto che finisca metto a posto alcuni vasi spostati dal vento nei giorni scorsi, do una pulita per terra e sistemo i contenitori per annaffiare.

Adesso si guarda di nuovo attorno smarrita. Mi avvicino e le chiedo se è qui da sola, se sa come tornare a casa.

Lei sorride e fa di no col capo. Tira fuori un cellulare dalla borsetta.

– Siccome ogni tanto mi perdo, allora mio figlio mi ha dato un telefono, ma non lo so usare.

– Se vuole lo chiamo io.

Nella rubrica ci sono due soli numeri registrati: uno è registrato come “Il mio numero”, l’altro dev’essere il figlio.

Dice che arriva subito, si scusa un’infinità di volte e si dispera che sia successo di nuovo.

Quando arriva, lei lo saluta in maniera infantile con entrambe le mani.

– Mi scusi ancora – dice lui –  spero che non le abbia dato disturbo.

Non ho fatto niente di diverso da quello per cui mi pagano.

L’ultima cosa che sento mentre se ne vanno la dice la signora: – Sai, ho fatto visita al babbo.

Lui mi guarda complice. Anch’io lo avevo capito ma la conferma mi fa tenerezza e rabbia: il nome che abbiamo cercato non era su nessuna delle lapidi nel cimitero.

Quella non era la tomba del marito.

Lei è stata felice. Mi sento come uno che ha appena salvato il mondo… ma figuriamoci, per così poco!

O forse… forse il mondo l’ho salvato davvero.

Forse il mondo non ha bisogno di essere salvato tutto insieme ma un pezzetto alla volta e oggi ho trovato il mio, di pezzetto.