L’anziana signora riposa nel feretro. Ha pelle di bambola e un trucco leggero che le dà un’espressione serena; come si dice in questi casi, sembra che dorma.
Indossa un tailleur nero e un foulard rosa.
Una mano carezza i capelli pettinati, una bocca singhiozza, alcune braccia si intrecciano cercando conforto.
Un mazzo di fiori si posa sul velo trasparente che copre le gambe spostandolo appena.
Non riesco a mettere a fuoco tutto insieme, e ricordare quel momento è un mosaico di dettagli distanti tra loro.
L’immobilità della morte stride con la vita come un’unghia passata sulla pietra.
Quella scena è surreale ma ormai mi è familiare.
Noi quattro stiamo composti ed eleganti, in disparte, in attesa di entrare in scena.
In quel momento ci faranno spazio affidandoci la loro cara.
Prima che ciò accada entra il marito.
È molto anziano ma come potevano impedirgli di dare l’ultimo saluto alla sua amata?
Siede su una carrozzina spinta da qualcuno.
Lui è immobile, ad eccezione di un braccio e del volto.
Li guardo.
Penso a quanta storia hanno visto insieme, a quanto ne hanno scritta con la punta fine con cui la scrivono le persone comuni, penso che forse sono stati lontani durante la guerra, forse si sono creduti morti finché gli occhi di uno non hanno visto l’altra; quegli stessi occhi increduli che si guardavano alla nascita dei figli.
L’anziano appoggia la mano buona sulla sponda del feretro, trema, lo afferra come se volesse frantumarlo. Si tira avanti, tanto che l’uomo dietro di lui lo sorregge per le spalle. Il marito nemmeno si volta per quella presa, continua nella sua disperazione.
Dalla sua posizione riesce a vedere appena il volto della donna.
La mano si serra, col pugno sbatte sul bordo di legno, alza gli occhi al cielo. Le lacrime escono a gocce dense, nette, divise l’una dall’altra, cadono sullo zigomo sporgente e poi si disperdono tra le rughe delle guance.
Apre la bocca come se volesse urlare ma lui non ha voce e quell’urlo rimane spento, silenzioso e la sua mano sbatte sul bordo ancora più forte, come se quel rumore potesse sostituire l’altro.
Una mano lo carezza sul volto e lui cambia espressione, come se fosse tornato adesso nella stanza dopo aver fatto un viaggio lungo una vita.
Mi passa vicino, mi guarda e con la mano buona prende la mia, la stringe appena e mi fissa finché può.
Adesso sì, ce l’ha affidata.