Il morto.

Tempo fa ho scritto uno stornello in rima e non avevo mai pensato di inserirlo in questo blog. L’ultima strofa è un omaggio al grande narratore di storie Tiziano Sclavi.

Il Morto

Il morto stecchito

Il morto schiacciato

Il morto sparito

Il morto trovato.

Il morto che incanta

Il morto al salterio

Il morto per finta

Il morto sul serio.

E l’uomo che veste il morto: “m’inventro…”

Lo muove e lo sposta con mille cure

Guarda un involucro “…e chi c’era dentro…”

Si chiede “…dov’è che è andato a finire?”.

Il morto per caso

Il morto ammazzato

Il morto appeso

Il decapitato.

Il morto da poco

Il morto che tarda

Il morto per gioco

Il morto che parla.

Per chi all’obitorio il morto giace,

Ci son meccanismi da sempre in uso

Riceve fiori, cordoglio, una prece,

Finché giunta l’ora non viene chiuso.

Il morto normale

Il morto che … insomma

È rimasto uguale

Sembra che dorma.

Il morto da tempo

Quello di giornata

Il morto “è uno scempio!”

Il morto a chiamata.

E le Parche giudici mai considerate

Tendon sul tuo capo la lama di rasoio

E svolgi le matasse con giornate avolterate

Finché Atropo ti taglia dal suo filatoio.

Il morto per sbaglio

Il morto per scelta

Il morto a serraglio

Il morto alla svelta.

Il morto nel sonno

Il morto cremato

Il morto in autunno

Quello bendato.

E a guardar tutti seduta e arcigna

La morte che gufa, la morte che ghigna.

Il sorriso.

Stiamo aspettando nel corridoio dell’obitorio l’ora per iniziare la chiusura.
Fisso i lastroni quadrati del pavimento; ascolto i rumori e le voci che animano le stanze.
Ad un tratto escono una bimba e un uomo, camminano a fianco, lei lo avvolge con le braccia e lo guarda come solo i bimbi sanno guardare i grandi, cercando un pezzo di futuro.
– Però è bello vedere il nonno che sorride… – si volta e guarda avanti a sé i maledetti lastroni – … anche se è morto.
Si volta tutta rossa e affonda il viso nel giubbotto dell’uomo.
Adesso i miei lastroni si muovono.

Una figura bianca.

Ieri, dopo quattro giorni di lavori, abbiamo finito di esumare un settore di posti a terra.
Sai che prima di andartene dovrai pulire a fondo, per non lasciare il cimitero come una trincea.
Chi resta scopa i vialetti, rastrella la ghiaia e chiude il cancello.
Non mi ha mai spaventato restare da solo nel camposanto, nemmeno dopo il tramonto.
Sto finendo di rastrellare quando dietro di me vedo scorrere veloce una figura bianca.
Ma sono solo…
Mica mi preoccupo, sarà stata un’impressione, oppure ho qualcosa nell’occhio: è volata polvere tutto il giorno.
Continuo a spostare sassolini.
Dal campanile vicino i battenti mi avvisano che sono le sei.
Dietro di me sfila di nuovo la figura bianca.
Mi volto e non c’è niente.
Mi guardo intorno, perché secondo me deve esserci qualcosa che il vento sta spostando qua e là.
Nulla. Nulla che sia bianco e che possa essere spostato con una ventata.
Mentre cerco di finire mi faccio più guardingo e tengo lo sguardo spinto all’indietro.
Ad un tratto ricompare!
Mi volto e sembra seguirmi…
E insomma, era il cappuccio della tuta.