Pulizie.

Oggi faccio le pulizie in un cimitero molto grande.
Sono appena rientrato dalla pausa pranzo.
Devo spazzare le gallerie sotterranee.
Qua sotto fa fresco ma è pieno di zanzare e la luce è a tempo.
Dopo un po’ che ho cominciato perdo la cognizione.
Rimango al buio: mica mi fa impressione, sono abituato e di luce ne fanno anche le lampadine dei loculi.
Appoggio la scopa al muro con fare distratto e vado a cercare l’interruttore.
Faccio pochi passi.
Da dietro schiocca lo schianto del manico per terra.
Da una galleria laterale si leva un lamento.
– Maronn’ che spavento!
Mi sento come quando da piccolo suonavo i campanelli.
Scatto.
Riprendo la scopa e in tre falcate sono di sopra.
C’è il mio collega che mi fissa, con una smorfia mi chiede cosa ho fatto.
– La paletta – improvviso – Mi sono scordato la paletta

Per un soffio.

È strano che una ragazza così giovane passi tante ore al cimitero.
Stendo i sassetti col rastrello da due ore, con gli occhi stanchi puntati per terra mi sembra di fissare quei vecchi televisori in bianco e nero, quando perdevano il segnale e mio nonno gridava: Sono Loro!
Mi fermo un attimo.
Alzo la testa e la vedo.
Ancora.
È ferma davanti a una tomba in porfido. Dev’essere di sua nonna che mi pare sia arrivata qui non più di un mese fa.
Lei sarà poco più grande di mia figlia, il pomeriggio a volte è con una signora.
Più spesso da sola.
Come oggi.
Ha le mani giunte, un fare compito.
Ad un tratto toglie qualcosa dalla borsetta, sembra un barattolo, da qui pare vuoto.
Lo culla qualche minuto poi lo apre.
Adesso lo vedo trasparire controsole: è un fiore di tarassaco, dalle mie parti si chiamano soffioni.
Se lo porta alla bocca, alza la testa, tira indietro le spalle: inspira, m’immagino.
Ad un tratto il fiore esplode con l’apertura di una fucilata, la forza di un bacio tirato.
Ecco – mi dico – Doveva solo trovare il modo di dirle addio.

Il bastone della vecchiaia.

Devo sostituire dieci lampade votive.
Sul foglio che ho in mano ci sono stampati i nomi dei defunti e le indicazioni.
All’inizio non lo vedo, intento a leggere come sono, poi con la coda dell’occhio noto muoversi qualcosa: è un anziano che armeggia, inginocchiato di spalle al lato di una tomba.
Al secondo sguardo capisco che non sta facendo delle comuni operazioni come mettere fiori o annaffiarli.
Vicino a lui ci sono due secchi di terra riempiti per metà, un sacco con dentro dei sassi bianchi e alcuni utensili.
Mi avvicino e lo saluto.
– Oh, buongiorno custode! – mi fa.
– Ha bisogno?
– Non mi dia del lei – mi prega crucciato – Qui è un po’ casa, lasciamo stare le formalità.
– Va bene, però vale per entrambi.
– Certo, eh! – Ride di gusto.
Continua a smanacciare con un arnese da giardinaggio mentre pressa la terra all’interno del recinto di marmo; sulla lapide gli sorride la foto di una signora mora. Solo ora mi accorgo che deve esserci stato un cedimento nel terreno.
– Posso darle una mano? – Mi accuccio.
– Posso darti – mi guarda sornione – Si era detto il tu!
Tentenno il capo: – Ha rag… Hai ragione, devo prendere confidenza, non è facile, ho questa educazione classica che…
– L’importante è avercela l’educazione – m’interrompe – Mi dai del tu, non mi mandi mica a cagare!
Rido, il sorriso mi si stampa sulle labbra, divampa sulle guance, mi fa stringere gli occhi, non riesco a tornare serio. Lui prosegue allegro:
– Ridi eh? Scommetto che ora ti viene più facile darmelo il tu!
– Porca miseria – mi rimetto in piedi – Sai che hai ragione?
Fa un gesto d’assenso mentre prende un secchio e lo rovescia tra le fasce di marmo.
Ci riprovo:
– Allora, posso darti una mano? – ci fissiamo – … Lo faccio per cortesia, non per soldi.
– Guarda – Indica fuori del cancello – Ho impiegato mezz’ora a portare la roba dalla Panda fin qua: vuoi mettere la soddisfazione di fare le cose da solo, a quest’età?
Seguo i suoi gesti, poi lo incalzo per l’ultima volta:
– Io insisterei, ma non vorrei che poi fossi tu a mandarmi a quel paese.
– Ma te non c’hai da fare? Siete sempre di corsa!
Un po’, lo confesso, rimango male del tono, poi lui mi punta un dito e comincia a ridere:
– Ah ah, che faccia!
Drizza la schiena restando in ginocchio, si pulisce le mani sui pantaloni, dilunga il collo poi torna a guardarmi:
– Ho ottantadue anni. Molti miei coetanei che sono rimasti vedovi si lasciano andare, non sono capaci di fare una vita decente senza la moglie: o si affidano ai familiari o per loro è finita.
Lo guardo mentre stiamo in silenzio; è lui che lo rompe.
– Lei – Indica col mento la foto della donna e continua a fissarla mentre parla – Mi ha sempre fatto tutto. Eravamo una famiglia vecchia maniera: io operaio, lei casalinga. Dopo la pensione abbiamo iniziato a occuparci della casa insieme. Mi ha insegnato un nuovo lavoro: mi ha salvato la vita –
non lo so se ha gli occhi lucidi oppure è il sudore – Lo devo a lei, lo devo a me stesso – si volta – Capisci?
Faccio sì con la testa, lo faccio con la voce, lo faccio con le mani: è un sì totale di rispetto e di sorpresa. Ora so che se insisto nel volerlo aiutare l’offendo per davvero.
– Mi ha convinto, però se dovesse…
– Mi ha ridato del lei… – mi fa un ammicco – Vuol mantenere le distanze?
– Accidenti: non è che ti posso adottare come nonno, vero?
– Nooo, poi mi tocca farti il regalo per Natale!
Ci facciamo l’ultima risata poi lo saluto.
Dopo un quarto d’ora ripasso nei paraggi per mettere le ultime lampadine.
Sento urlare:
– Oh giovane!
Mi volto di scatto. L’anziano è sempre in ginocchio alla tomba, gesticola verso di me.
– Dimmi!
– Dai retta, vieni qua.
Mi avvicino, mi aspetto una delle sue battute.
– Senti un po’, prima ho fatto il gradasso, ma mi è rimasto il bastone sul tetto della Panda e se non mi aiuti ad alzarmi domani ti tocca scavarmi la fossa.

Dissolvenza.

Questo è il 50° post del mio diario e volevo raccontarlo in maniera totalmente diversa dal solito.
Ho deciso di omaggiare un linguaggio che amo tanto: il fumetto.
Non è esattamente una sceneggiatura, è un gioco di carte mescolate.

Titolo: Dissolvenza.

Tavola 1.
Vignetta 1/4.
Campo lungo, inquadratura dall’alto in prospettiva.
Esterno giorno.
Siamo all’interno del campo di un cimitero.
Una piccola folla sta in piedi sulla terra arida; il gruppo scorre dal basso fino al centro della vignetta dove c’è la fossa. Qui, più vicini degli altri ci sono due persone: il figlio tiene la moglie del defunto per le spalle lei ha in mano dei fiori; il feretro è all’interno della buca ancora scoperto. Dall’altro lato c’è il cumulo di terra, si intravede l’escavatore; io sto sulla destra, indosso il mio cappellino con la tesa, sono in piedi e tengo dal manico la pala che poggia a terra. Dietro a me un muretto di mattoni dov’è posata una croce di legno.
Sul lato sinistro si notano allineati altri cumuli di terra, ognuno con inseriti la propria croce e alcuni vasi di fiori.

Vignetta 5/6.
Controcampo.
Inquadratura dal basso.
Il punto di vista è adesso dall’interno della fossa. Vediamo soltanto il giovane e la donna, non hanno cambiato posizione, uno tiene per le spalle l’altra, questa getta i fiori verso il lettore.

Tavola 2.
Vignetta 1.
Mezzo busto della moglie del defunto; ha gli occhi chiusi, la testa inclinata verso il giovane che la tiene, escono lacrime dai suoi occhi.

Vignetta 2.
Piano americano di me stesso. Con una mano tengo ancora la pala, con l’altra la tesa del cappellino.
Io: Scusate…

Vignetta 3.
Controcampo.
Piano americano della moglie sempre tenuta dal figlio; lei sembra riaversi per un attimo dallo sconforto, alza la testa e mi fissa.

Vignetta 4.
Sono inquadrato a mezzo busto, tengo ancora la mano sulla tesa del cappello.
Io: Posso procedere?

Vignetta 5.
Primo piano della moglie che osserva con sconcerto in direzione della fossa.

Vignetta 6.
Mezzo busto del figlio e della moglie che guarda adesso verso di me. Tentenna la testa in segno di assenso.

Tavola 3.
Vignetta 1/2.
Campo corto.
Inquadratura dal basso.
Io in figura intera sono intento a spalare la terra del cumulo nella fossa.

Vignetta 3/4.
Campo lungo.
Inquadratura dall’alto a volo d’uccello.
Dal lato delle signore la folla è diminuita, quelli che restano stanno salutando la moglie e suo figlio.
Io continuo a spalare terra sulla cassa, che non si vede quasi più.

Vignetta 5.
Piano americano della moglie che guarda in direzione del muretto.

Vignetta 6.
Primo piano della parte superiore della croce. In corrispondenza dell’incrocio delle due piccole assi una cornice di legno accoglie la foto di un uomo sui cinquanta: vediamo il suo mezzo busto, vestito elegante, sorride da sotto i baffi neri.

Tavola 4.
Vignetta 1/2.
Sulla parte sinistra della vignetta vediamo una porzione della croce; al centro la foto che vi è fissata va in dissolvenza per diventare, nell’altra metà della vignetta, l’immagine reale dell’uomo, nel momento e nel luogo in cui la foto fu scattata: una stanza da pranzo, lui seduto a un tavolo imbandito.

Vignetta 3 (stretta).
L’uomo nella stessa posizione della foto è illuminato da un flash.
Rumore: Click

Vignetta 4 (larga).
Controcampo.
Sono inquadrati figlio e moglie.
Lui tiene in mano una macchina fotografica, lei è vestita elegante. Il figlio le si rivolge
Figlio: Vai mamma, adesso una con te.

Vignetta 5.
Inquadratura della macchina fotografica con moglie e marito che si danno un bacio.
Rumore: Click.

Vignetta 6.
Mezzo busto dell’uomo. Si rivolge al figlio che non vediamo inquadrato.
Uomo: Facciamone una tutti insieme.
Figlio (con voce fuori campo): Eh no, è il vostro anniversario. E poi…

Tavola 5.
Vignetta 1/2.
L’immagine in dissolvenza della tavola precedente adesso è al contrario: torniamo al cimitero; sulla sinistra il momento dello scatto della foto, sulla destra la croce.
Didascalia: … c’è sempre tempo.

Vignetta 3 (stretta).
Mezzo busto della moglie. Un rumore la fa tornare alla realtà.
Rumore: Vromm

Vignetta 4 (larga)
Campo corto.
Sono seduto sull’escavatore che adesso è acceso. Una fumata nera sbuffa dal basso.
Rumore: Vromm

Vignetta 5/6
Campo lungo.
Inquadratura dall’alto in prospettiva.
Io sto finendo di riempire la fossa con l’escavatore.
A distanza di sicurezza ci sono la moglie e figlio, adesso soli, sono abbracciati.
Didascalia: C’è sempre tempo…
Fine.