Domande, risposte.

L’altro giorno abbiamo sepolto a terra un anziano signore.
Fin dall’ingresso nel cimitero suo figlio è stato alla testa del piccolo corteo, con in braccio il nipotino del defunto.
– Dov’è il nonno? – Gli chiedeva.
Lui lo guardava con occhi ladri e un enorme ciuccio in lattice che sembrava un tappo per parole sconosciute; rispondeva indicando la cassa – Mmmm!
– E poi dove va? – Proseguiva l’uomo.
– Mmmm! – Diceva il piccolo cambiando intonazione e puntando il cielo con il ditino.
È andata così finché non abbiamo cominciato a ricoprire la fossa.
L’uomo con il bimbo si sono messi in silenzio a guardare a qualche metro da noi.
Ad un tratto il piccolino ha cominciato a sbattersi come un pesce pescato e a muovere la testa, dal padre al nonno.
– Mmmmmm – Ripeteva a voce sempre più alta con un lamento sempre più lungo, indicando la fossa – Mmmmmm!
Alla fine si è messo a fissare il padre, ormai isolato dal resto del mondo, ha allargato le braccine e detto un – Mm!? – breve e folgorante mettendosi a fissare il cielo, silenzioso.
Le nostre domande iniziano presto.
Le risposte ce le diamo da soli.

 

Petalo di rosa.

Questo è il periodo in cui i cimiteri si riempiono di persone, di fiori, d’incontri.

Spazzo la stessa mattonella da quasi cinque minuti.

Lo faccio perché mi sono distratto.

Da sotto la tesa del cappellino guardo un anziano distinto, di quelli ben vestiti, che indossano il doppio petto con l’eleganza di un imperatore.

È seduto su uno sgabello, piegato in avanti con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e le braccia dritte e la testa abbassata. Sembra sostenere un peso che non è fisico.

Rigira tra le mani un foglio a quadretti grandi, di quelli per bambini; credo che ci sia un disegno sopra.

C’è stato l’altro ieri qua, in jeans, ha accompagnato sua moglie che adesso riposa dietro di lui, in seconda fila. Davanti alla muratura aveva messo un vaso con dentro rose bianche che sembrano ancora fresche.

Il cemento è ormai asciutto, spero di averlo scritto bene il suo nome con la scheggia di un mattone.

Si stacca un petalo. Seguo con lo sguardo la sua caduta, poi mi sorprende lui, che si volta di scatto e fissa quel petalo per terra.

Lo fissa a lungo.

Mi chiama una signora.

– Arrivo – Le dico.

Lui sta fissando ancora quel petalo bianco, probabilmente l’ha visto cadere.

Mentre me ne vado riesco solo a pensare che invece, mi piacerebbe che l’avesse sentito.

 

Eredità.

Stamani portano una cenere.

Ho un orario e so quale impresa funebre la consegnerà.

Appena arrivo al cimitero preparo il ponteggio, quello piccolo. Con Martello e scalpello apro un rettangolo nel loculo in terza fila, grande giusto per fare entrare il contenitore della cremazione.

Per terra appoggiato al muro c’è il marmo, che porta la foto di una signora mora e una data di venti anni fa. Lo hanno tolto ieri due colleghi perché oggi sono da solo non sarei riuscito.

La calce la preparo appena avrò inserito le ceneri, ne servirà poca e l’operazione è veloce.

Ho tempo.

Mentre aspetto faccio le pulizie, che il vento ha riempito i viali di rametti di cipresso e dei suoi frutti, quelle palline di legno che da noi si chiamano coccole. È un nome bellissimo e ora che ci penso, i cipressi tengono i rami così chiusi come se vivessero in un eterno abbraccio.

Rompe i miei pensieri il motore dell’auto funebre che si ferma.

Raggiungo l’ingresso, l’autista è già sceso ma non vedo il bussolotto delle ceneri.

Ci salutiamo e chiedo spiegazioni.

– Non ce l’ho io – mi dice – Stanno arrivando adesso – indica alle nostre spalle.

Un signore anziano scende dall’auto parcheggiata distante. Porta la piccola scatola metallica come fosse un labaro, mi saluta e me la porge sorridendo.

L’autista del carro se ne va.

Controllo i documenti: sono a posto.

Si parla del più e del meno mentre ci avviciniamo, le solite cose.

Poi mi dice che qui non è cambiato niente da quando c’era lui; racconta che è stato il custode di questo cimitero fino a quindici anni fa. Si parla finché non raggiungo il ponteggio.

Salgo sopra, lui mi passa il bussolotto.

– Posso procedere? Vuol dare l’ultimo saluto prima che lo inserisca?

Fa no con la testa.

– Era mio suocero – dice –  Sono anni che vegetava sopra un letto, mi sono rassegnato alla sua perdita.

Forse non passano sei secondi.

È il tempo che mi serve per accendere il pensiero che quest’uomo è da solo al funerale del suocero, guardare la fascetta di alluminio col nome stampato sopra al bussolotto nero, voltarmi verso il marmo e vedere lo stesso cognome inciso in lettere dorate.

Allora mi volto e incontro i suoi occhi densi e rassegnati.

– Eh sì – mi fa – Lei me la sono murata io, almeno mia moglie l’ho salutata come si deve.