Il poeta

Per arrivare all’abitazione percorriamo un lungo vialetto sterrato.

È pieno di gente che cammina nella nostra stessa direzione. Li superiamo tutti, pian piano e li ascoltiamo parlare: i loro discorsi ci raccontano chi era l’uomo che dovremo portare via oggi.

Lavoratore, portava spesso il figlio a pescare da me, mi ricordo quella volta…, da un paio d’anni non riusciva più a leggere, dettava alla moglie i suoi versi.

Passo di fianco a uno degli ultimi visitatori che abbiamo davanti. È anziano, cammina distratto tenendo un libro. Lo tiene con entrambe le mani e lo fissa.

No, non è un libro, sembra più un quaderno o un’agenda, di quelle con la copertina morbida.

La guardo: è completamente azzurra, senza una scritta o una figura.

Superiamo la porta d’ingresso, nel soggiorno il feretro è coperto dal velo di raso bianco.

La signora seduta a fianco ci guarda, aggrotta le ciglia, tra la supplica e la disperazione.

Mi accuccio accanto a lei tenendomi alla sedia – Stia tranquilla, abbiamo ancora un quarto d’ora prima di chiuderlo – Mentre mi alzo mi prende la mano tra le sue, è fredda, mi fissa – Posso restare a guardare?

– Ma certo, non c’è problema –

Si rimette composta e sollevata a fissare il marito.

Quando torniamo nella stanza lei prende la mazza che teneva appoggiata al muro e si solleva con fatica.

Appende il bastone al feretro, con delicatezza chiude il tessuto dell’imbottitura accomodandolo all’interno; poi allunga entrambe le braccia e carezza il suo uomo.

Bisbiglia alcune parole, sembra una cantilena, avverto il ritmo, probabilmente una poesia.

La guardo. Il suo viso è una diga. Dagli occhi rossi non passa una lacrima. Per farci spazio usa il bastone e le nostre braccia; adesso non deve sostenere soltanto il suo fisico.

Dopo la chiusura partiamo per il cimitero: è un trasporto civile.

Qui ci sono altre persone che stanno aspettando. Salutano la moglie; le si avvicina un signore che sembra più anziano di lei, fa le condoglianze, si emoziona, gli si spezza la voce. La donna lo incoraggia con una mano sulla spalla – Via, via che sistema è. Non c’è da piangere qui, c’è da fare quel che c’è da fare!

Si avvicina all’auto funebre, ci guarda – Signori, che volete fare? Lo volete riportare via? Se tornasse vivo vi direi di farlo, ma tanto…

La buca è già pronta, aiutiamo i custodi a calare piano la cassa, si sfilano le corde dalle maniglie. Uno di loro accende l’escavatore.

Dal gruppo di persone che stanno intorno sbuca l’uomo che teneva il volume azzurro – Fermi, fermi, aspettate!

L’escavatore si spegne.

– Non si può salutarlo senza dire qualcosa di lui – Fa un breve discorso. Il defunto scriveva poesie.

– Questo – Scuote il volume come un’arma – È l’unico libro esistente che raccoglie tutti i suoi versi, e l’ha regalato a me – Si emoziona – A me!

Guarda dentro alla fossa poi si rivolge alla folla – Era come un fratello. E adesso quello che resta di lui è tutto qui dentro! – Scuote ancora il libro poi lo apre al segno che aveva fatto.

Guarda la moglie, riprende fiato – Questa l’aveva scritta per te.

Legge versi e lei diventa natura delicata e poi selvaggia e poi ancora delicata, e animali, e paesaggi sconvolti dalla bellezza.

Devo allontanarmi perché la diga, adesso, sono io.

La guardo un’ultima volta.

Sta in piedi tenendo il bastone con entrambe le mani, la testa alta.

Sembra una quercia secolare.

E penso che sia lei la più bella poesia di oggi.