Custode.

 

Passano e lasciano fiori, uno sguardo, una preghiera, un bacio.
A volte sono accompagnati perché da soli non ce la fanno, e chiedono una sedia o la tengono qua, incatenata a una colonna del loggiato, insieme al motivo per cui vengono.
Mi vedono, scuotono una mano, salutano sempre, oppure mi fermano per parlare.
Mi raccontano storie che si sono interrotte, lasciando fili sospesi e sfilacciati come corde strappate.
Le persone non sono come quegli eroi delle storie che hanno il tempo di sistemare tutto, per poi morire in pace.
Queste trame rimangono sparpagliate, lasciando segni rossi dentro a chi resta.
Vengono qua dentro, dove sono rinchiuse le memorie di intere famiglie, ma la memoria non sta qua sotto le mie scarpe rinforzate. La memoria è dentro di loro e viaggia coi loro racconti.
Così voglio illudermi che non mi chiamino custode perché io badi a questi marmi, ma perché tenga dentro di me le storie di queste vite.