Nell’appartamento c’è odore di caffè silenziosi e mani che stringono; per noi è un preludio.
Entriamo salutando discreti i familiari e ci mettiamo in disparte.
Senza volerlo ascoltiamo parole che compongono un mosaico, pezzo dopo pezzo, fino a metterci in testa un disegno approssimativo di questa vita che è passata.
La figlia del defunto non è ancora arrivata.
Ma sta per farlo, manca davvero poco; era in vacanza all’estero.
– Almeno per il funerale – Ha detto – Mi dovete aspettare.
Lo ripete la madre di continuo, a tutti.
E allora il trasporto ha atteso, è stato spostato per il ritardo di un volo.
Il feretro però, quello lo abbiamo dovuto chiudere due giorni fa, non era più possibile rimandare.
Lo schiamazzo dei presenti annuncia l’arrivo della giovane donna, che entra nella casa e si fa largo con educazione tra le persone che la vogliono salutare, abbraccia la madre, le fa una carezza, poi si ferma sulla porta della camera e fissa la cassa sul letto. In questo frammento di tempo sul suo viso scorrono tutte le espressioni che un volto può offrire, passano intorno ai suoi occhi come passano le ombre che si portano dietro le nuvole.
Si toglie le scarpe, l’una con la punta dell’altra.
Si asciuga una lacrima.
Si sposta leggera fino alla prossimità del letto, si concede un attimo ancora, poi tocca il legno liscio con una mano, lo accarezza piano.
Si siede sul letto, avvolge il feretro con un abbraccio che il legno sembra dissolversi.
– Non ce l’ho fatta nemmeno a dirti addio – Gli dice.
E gli sussurra parole, come solo le figlie ai padri i segreti.
Mentre usciamo dalla stanza per lasciarli soli, lancio un ultimo sguardo e penso che sto vedendo l’addio più dolce che si possa dare.