Rinascita.

 

Rinascita

Guardo questo cimitero grande dalla stanza dove riposo.

Mi ha raccontato storie che mi hanno fatto crescere, ho ascoltato racconti disperati di persone sole, ho raccolto il bisogno di comunicare.

Questo si era interrotto per un po’. 

E anche se abbiamo riaperto, anche se la consuetudine è tornata a popolare queste mura, io ho smesso di farmi domande, di osservare, di raccontare, evito le persone invece di avvicinarmi e portare un saluto.

C’è stato un momento in cui mi sono chiesto perché, senza trovare risposta.

Forse adesso questa risposta ce l’ho.

 

Quello che dà senso al mio mestiere non sono i morti.

Sono i vivi.

E di vivi non ce n’erano più.

Non c’era il rumore del traffico, non c’erano gli odori.

Era tutto un cimitero, dentro e fuori dal cancello.

Il bisogno che ho di condividere questo diario era tornato a essere un disagio interiore incapace di uscire, di entrare dentro a quello che succedeva intorno, di cercare negli occhi della gente, anche se la gente era tornata, e di raccontare quello che vedevo, quello che sentivo.

Mi sono messo tante volte davanti alla tastiera, ma uscivano cose che non mi appartenevano.

E se anche il seguito e i like fanno piacere, questa pagina non è un tritacarne.

È un diario condiviso, un pezzo di me a cui voglio bene.

 

Poi sono cominciati ad arrivare i messaggi privati.

Mi chiedevano come stavo, se andava tutto bene, perché non raccontavo più.

Erano tanti. 

A volte scrivevo una risposta per poi cancellarla, a volte non entravo nella pagina per giorni e giorni e le risposte che davo erano evasive.

Perché una sola era quella reale ma non avevo il coraggio di ammetterla. 

Mi ero perso.

 

Ho visto la natura provare a riprendersi questo spazio senza riuscirci.

Ho custodito queste mura mentre erano chiuse, mentre le gallerie rimbombavano delle nostre voci, 

Ma una cosa forse l’ho dimenticata.

Di custodire me stesso.