Cipressi

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I cipressi intorno ai cimiteri sono testimoni d’immobilità.

Sfilano per strade che non portano in nessun posto, alfieri delle nostre memorie.

Sono le dita degli déi e tengono separate la carne dalle nostre illusioni che rimangono a galleggiare insieme al rimpianto, come la nebbia del mattino, pronte per trovare un nuovo alloggio.

L’illusione più grande è quella che trova subito dove attecchire le sue radici, da qualche parte, nel luogo più riposto del corpo di chi resta, dove risiede la speranza che germoglia nella negazione della fine.

Ogni volta che guardo un cimitero è un incontro.

Quante ossa la Terra ha ripreso indietro?

Ci sforziamo di viaggiare, con il corpo e con la mente ma rimaniamo sempre qua. E ci rimarremo per sempre finché non saremo qualcos’altro.

Quante ossa sono sparse sotto i nostri passi?

La Terra gronda dei morti del passato e sembra non esserne mai piena.

Eppure è la stessa Terra, placenta dei vivi, rigoglioso alveare dove trascorrere il tempo che passa tra l’andata e il ritorno.

Eppure è la stessa Terra che dona la vita a pretendere il tributo del nostro involucro vuoto.

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