Eredità.

Stamani portano una cenere.

Ho un orario e so quale impresa funebre la consegnerà.

Appena arrivo al cimitero preparo il ponteggio, quello piccolo. Con Martello e scalpello apro un rettangolo nel loculo in terza fila, grande giusto per fare entrare il contenitore della cremazione.

Per terra appoggiato al muro c’è il marmo, che porta la foto di una signora mora e una data di venti anni fa. Lo hanno tolto ieri due colleghi perché oggi sono da solo non sarei riuscito.

La calce la preparo appena avrò inserito le ceneri, ne servirà poca e l’operazione è veloce.

Ho tempo.

Mentre aspetto faccio le pulizie, che il vento ha riempito i viali di rametti di cipresso e dei suoi frutti, quelle palline di legno che da noi si chiamano coccole. È un nome bellissimo e ora che ci penso, i cipressi tengono i rami così chiusi come se vivessero in un eterno abbraccio.

Rompe i miei pensieri il motore dell’auto funebre che si ferma.

Raggiungo l’ingresso, l’autista è già sceso ma non vedo il bussolotto delle ceneri.

Ci salutiamo e chiedo spiegazioni.

– Non ce l’ho io – mi dice – Stanno arrivando adesso – indica alle nostre spalle.

Un signore anziano scende dall’auto parcheggiata distante. Porta la piccola scatola metallica come fosse un labaro, mi saluta e me la porge sorridendo.

L’autista del carro se ne va.

Controllo i documenti: sono a posto.

Si parla del più e del meno mentre ci avviciniamo, le solite cose.

Poi mi dice che qui non è cambiato niente da quando c’era lui; racconta che è stato il custode di questo cimitero fino a quindici anni fa. Si parla finché non raggiungo il ponteggio.

Salgo sopra, lui mi passa il bussolotto.

– Posso procedere? Vuol dare l’ultimo saluto prima che lo inserisca?

Fa no con la testa.

– Era mio suocero – dice –  Sono anni che vegetava sopra un letto, mi sono rassegnato alla sua perdita.

Forse non passano sei secondi.

È il tempo che mi serve per accendere il pensiero che quest’uomo è da solo al funerale del suocero, guardare la fascetta di alluminio col nome stampato sopra al bussolotto nero, voltarmi verso il marmo e vedere lo stesso cognome inciso in lettere dorate.

Allora mi volto e incontro i suoi occhi densi e rassegnati.

– Eh sì – mi fa – Lei me la sono murata io, almeno mia moglie l’ho salutata come si deve.

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