Il mare.

 

Stamani mi sono alzato coi pensieri.

Ho alcune cose da sistemare nella vita privata che mi sembrano aggrovigliate e insormontabili.

Le scaccio come mosche fastidiose, perché anche oggi c’è un sacco da fare al cimitero.

Mentre attraverso il vialetto del campo vecchio, Andrea mi sorride.

Lo fa ogni volta.

Il mento appoggiato sulle mani, incrociate su un tavolo, testa appena inclinata; ha quello sguardo di chi ha, quanti? Diciannove anni, dice la lapide.

Sono occhi un po’ sbruffoni, di chi la sa lunga, di chi ha appena trovato il coraggio di sfidare il mondo e l’incoscienza di farlo davvero.

Io lo so com’è andata a finire, lo sanno tutti quelli che passano di qua.

Ma quei suoi occhi mi guardano lo stesso.

L’angoscia e la rabbia che provo ogni volta che li incrocio aprono un abisso, da dove mi arriva un’eco, un bisbiglio dal passato che parla di occasioni perdute, di rimpianti.

Avverto un brivido alla base del collo.

Mi soffermo quasi senza volerlo.

Nello sfondo azzurro di quella foto indovino il mare.

Sul lato della sua tomba un’erbaccia è cresciuta troppo, mi accuccio e la strappo.

Da così vicino me ne rendo conto solo adesso: non è il mare quello, mi sbagliavo, sembra più un lago, o un fiume.

Quanto è facile confondersi se si osservano distratti i dettagli: sfuggono quelli, sfugge la realtà.

Questo pensiero dirompe e ne porta con sé una catena di altri.

Mi alzo in piedi sempre fissando Andrea.

L’ultima cosa che mi viene in mente è quel detto di come sia facile affogare in un bicchier d’acqua.

Anche quello si può confondere con il mare se si guarda dalla prospettiva sbagliata.

Adesso i miei problemi galleggiano su una superficie ridotta.

Ho il forte desiderio, il bisogno di illudermi che sia stato lui a farmi pensare, che invece di affogarci dentro, io questo bicchiere me lo voglio bere, come fosse un vino antico.

Lo farò alla tua memoria Andrea.

 

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