Il rito dell’esumazione

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Oggi parlerò di come faccio un’esumazione.

Di come la faccio io intendo.

Sicuramente ci saranno metodi migliori; a me hanno insegnato questo. Ne scriverò mantenendo le premesse con cui ho sempre tenuto questo blog: rispettare chi non c’è più.

E’ esattamente il presupposto necessario per effettuare questo tipo di operazioni. In fin dei conti abbiamo davanti delle persone che stanno a guardare noi, che mettiamo i resti di un loro caro estinto, dentro una scatola di ferro.

Se capitasse a me vorrei massimo rispetto.

Inizierò a raccontare da quando la cassa è tornata alla luce, dopo il lavoro dell’escavatore e della pala come ho spiegato in questo post.

Appena il coperchio è libero dalla terra cerco di sollevarlo a mano, solitamente si apre senza problemi. In caso contrario faccio leva con qualche attrezzo.

Comincio a ripulire la superficie superiore della cassa da eventuali infiltrazioni di terra.

Mi aiuto scalzando le estremità dell’imbottitura che avvolge la salma, così da far scorrere la terra all’esterno dell’involucro di stoffa. Se questo non basta viene in aiuto il velo in raso, che di solito ricopre il corpo nella sua lunghezza. In assenza di questi tessuti, devo liberare il corpo con i guanti o con una mestola, tipo come fanno gli archeologi quando trovano un reperto.

Dopo aver liberato l’area di lavoro, avvicino la cassetta di zinco che accoglierà i resti.

Solo la testa e le mani sono esposte, il resto è dentro le logori vesti che dopo tanti anni hanno assunto l’aspetto di un sudario.

Per prima cosa cerco le ossa delle mani. Sono le parti più piccole. Mentre i piedi sono raccolti nelle scarpe o nelle calze, gli arti superiori possono spargersi, rendendo più lungo il loro recupero specie se nella cassa c’è del fango. Tolgo anche l’ulna e il radio dalle maniche.

Ripartendo dall’alto ripongo il cranio, che è la parte più ingombrante; insieme ad altre ossa più lunghe vanno posizionate in modo che lo spazio nella cassetta sia sufficiente ad accogliere tutto.

Passo alle vertebre cervicali che sistemo in basso, dietro al cranio; quindi le clavicole, l’omero, le costole, lo sterno (che talvolta è quasi totalmente consumato) e concludo togliendo le vertebre rimanenti.

Proseguo con le ossa del bacino, che cerco di mettere ai lati lunghi della cassetta per lasciare spazio alle successive sei ossa: femore, tibia e perone. E’ per quelle che bisogna gestire lo spazio; si rischia di non riuscire a chiudere il coperchio e dover risistemare l’interno. Una cosa che di certo i familiari non gradiscono.

Infine raccolgo le rotule.

Il recupero delle ossa dei piedi è quasi sempre agevole. Come già detto sono all’interno di calzature e quindi basta svolgere il tessuto all’interno dell’ossarietto di zinco.

La velocità di queste operazioni dipende dal tipo di abito indossato dalla salma. Abbiamo a che fare con pantaloni o calze di nylon (talvolta indistruttibili!), camicie e giacche, mantelli o scialli, intimo di ogni genere che mantiene la sua resistenza anche dopo tanti anni.

Una curiosità.

Se al momento di togliere il coperchio i familiari vedono il cranio consumato, tirano un respiro di sollievo e cominciano a esprimere consensi sulla buona sorte occorsa al loro defunto: danno per scontato che il processo di decomposizione sia completo.

In realtà potrebbe non essere così. Molto spesso ci sono porzioni di corpo non consumate. Parti come il busto e il bacino necessitano di più tempo per mineralizzarsi. Capita anche che ci siano uno più arti mummificati e quindi non è possibile effettuare la riduzione.

E’ importante smorzare gli animi fin da subito e prendersi il tempo necessario per accertarsi che il lavoro sia possibile da fare per evitare successive delusioni.

 

 

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