La geometria della memoria.

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Ho lavorato in molti cimiteri, ne ho visti davvero di ogni genere.

Da quelli metropolitani, organizzati come città, a quelli di montagna, arroccati come piccole fortezze a difesa di paesi abbandonati. Capaci soltanto di accogliere il ritorno di nostalgici abitanti di un’epoca passata, che hanno fatto in tempo, prima di morire, a desiderare di essere riportati nel luogo nativo.

Ci sono i cimiteri monumentali, intoccabili, memoria storica delle passate generazioni e quelli, in numero maggiore, in cui viene effettuata la rotazione, dove periodicamente gli spazi vengono liberati per nuove accoglienze.

Negli ultimi anni i cimiteri stanno cambiando aspetto.

Complice la crisi ma anche il progressivo disinteresse verso il culto dei defunti, vengono generalmente posate tombe più semplici, meno elaborate. Un fattore che, per inciso, non è positivo o negativo ma solo un segno del cambiamento.

Di recente sono tornato in un camposanto dove non entravo da anni. Lo ricordavo ricco di statue, marmi disposti in maniera artistica, con la chiara volontà dei committenti di lasciare opere, a futura memoria del defunto, degne delle sculture dei grandi del passato.

Adesso due settori sono stati liberati e progressivamente occupati da nuovi ingressi. Le nuove tombe sono molto semplici, senza eccessi.

La magnificenza, la solennità delle statue grigie di angeli compassati, madonne disperate e panneggi marmorei dai contorni zuccherini, pietre abbracciate da edera vivace e ferri battuti da mani robuste, sono ormai andate perdute.

C’era qualcosa… c’è qualcosa che sento dentro, guardando questi luoghi e che cambia a seconda del posto in cui mi trovo; una sensazione che non sono mai riuscito a razionalizzare. O meglio, non riesco a capire cosa sia a darmi suggestioni ogni volta diverse.

Poi, mentre cercavo un modo per spiegarlo in questo post, d’un tratto ho capito: è la simmetria.

Nei piccoli cimiteri antichi si trovano tombe risalenti ai primi del novecento, a cui se ne sono avvicinate altre a macchia d’olio e sono rimaste lì, in attesa di un pensiero, di una visita. Questi luoghi non sono stati cambiati nel tempo ma dal tempo.

Tra i sepolcri si snodano sentieri irregolari, solcati dalle nervature di radici che si snodano da piante secolari, sfiorando le lapidi, alzandole, sfidando il peso delle strutture fino a creare una ragnatela scoscesa tra spazi sempre differenti, ormai occupati dalla vegetazione che cresce spontanea. Quelle costruzioni si alternano senza linea di continuità, creando perimetri irregolari e forti contrasti di colori.

E’ qui dentro che avverto una sorta di inquietudine, una punta d’angoscia. Come se tutta l’anarchia di quelle architetture mi volesse suggerire la sofferenza che si cela nel ricordo dietro ogni nome, sotto ogni lapide.

Nei cimiteri moderni questo non mi accade, o succede in misura impercettibile. Perché lì ogni campo è delimitato da un perimetro preciso; le tombe sono perfettamente distanziate tra loro, allineate e squadrate, tutte della stessa misura e caratterizzate da un’avara scala di colori.

La semplicità ha per me il grande vantaggio di alleviare il tormento, rendere meno tremendo il pensiero di essere al cospetto della fine.

 

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