Non ci si abitua mai

statua_cimitero
Mi è tornato in mente un servizio fatto alcuni mesi fa.

Era piena primavera.

Anche nei cimiteri entrano le stagioni. Le piante e i fiori hanno profumi vigorosi in quel periodo.

Quel giorno dovevamo aprire alcuni ossari i cui contratti erano scaduti da tempo. Sono quelle piccole tombe murate a parete destinate ad accogliere, in scatole di zinco, i resti ossei di esumazioni ed estumulazioni.

L’operazione è abbastanza veloce perché quei resti riposano lì dentro da almeno trent’anni, i contenitori sono logori e si aprono facilmente.

Arriviamo a togliere un marmo senza foto ma le due date iscritte in un font di acciaio invecchiato, sono tremendamente ravvicinate. Sappiamo già cosa troveremo.

Apriamo; incastrata tra le strette mura c’è una piccola bara bianca.

Quando vedi qualcosa del genere prima deglutisci, poi cerchi di scacciare i pensieri perche devi lavorare.

Aveva solo due mesi

Ma devi lavorare, non pensare che

Poco distante attendono la madre e la sorella di quel piccolo ricordo. Sono apparentemente calme e silenziose.

Quando metto a terra il feretro si avvicinano. Chiedo se vogliono assistere oppure aspettare più distanti.

Restano.

Intanto parlano e rammentano quel giorno lontano. Sollevo il coperchio di legno. Sotto c’è quello di zinco, ancora saldato.

È così piccolo.

Puoi averne viste tante in questo mestiere ma adesso sei in ginocchio davanti a un’ingiustizia e senti un nodo tremendo alla gola. È straziante ma devi dispensare sicurezza perché i familiari colgono ogni esitazione come un tradimento.

Sembrano i vestiti di una bambola.

– Gliel’ho fatto io, mentre la aspettavo – dice la mamma al vento.

Ma delle due donne è la sorella che si mostra più fragile. Inizia a singhiozzare e la madre le fa coraggio. Metto vicino alla piccola bara il nuovo contenitore di zinco che ospiterà quei resti per i prossimi 30 anni.

E’ posata su un giaciglio di paglia. Mi faccio coraggio ed entro nella piccola scatola con i grossi guanti di gomma. Cerco di afferrare tutto insieme perché voglio metterla così com’è nell’altro contenitore.

Appena concluso lo spostamento la sorella mi ferma e chiede se ho sentito qualcosa nei vestiti.

All’inizio non capisco, poi lei si spiega: vuole che mi accerti che i resti non siano completamente spariti.

Mi tocca farlo davvero.

Premo delicatamente.

Non devi pensare che…

I guanti hanno tre millimetri di spessore e sotto ne ho un paio più fini. Non sentirei nemmeno una martellata ma in quel momento mi sembra di non avere nemmeno la pelle.

Guardo la donna e faccio segno di assenso.

Adesso la sorella è rassicurata, mi ringrazia e si allontana. Chiudo il nuovo contenitore e lo dispongo nel loculo più grande, di proprietà della mamma.

– L’ho comprato per me, quando sarà il momento la voglio avere vicina – dice.

Tendo le labbra senza sorridere, saluto le due signore che rimangono a fissare i mattoni che piano piano chiuderanno quella finestra sul passato.

Non ci si abitua mai.

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