Per un soffio.

È strano che una ragazza così giovane passi tante ore al cimitero.
Stendo i sassetti col rastrello da due ore, con gli occhi stanchi puntati per terra mi sembra di fissare quei vecchi televisori in bianco e nero, quando perdevano il segnale e mio nonno gridava: Sono Loro!
Mi fermo un attimo.
Alzo la testa e la vedo.
Ancora.
È ferma davanti a una tomba in porfido. Dev’essere di sua nonna che mi pare sia arrivata qui non più di un mese fa.
Lei sarà poco più grande di mia figlia, il pomeriggio a volte è con una signora.
Più spesso da sola.
Come oggi.
Ha le mani giunte, un fare compito.
Ad un tratto toglie qualcosa dalla borsetta, sembra un barattolo, da qui pare vuoto.
Lo culla qualche minuto poi lo apre.
Adesso lo vedo trasparire controsole: è un fiore di tarassaco, dalle mie parti si chiamano soffioni.
Se lo porta alla bocca, alza la testa, tira indietro le spalle: inspira, m’immagino.
Ad un tratto il fiore esplode con l’apertura di una fucilata, la forza di un bacio tirato.
Ecco – mi dico – Doveva solo trovare il modo di dirle addio.

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