Fuochi fatui

175_flame-940x626Nelle notti senza luna, asciutte e serene, gli incauti passanti che costeggiano il perimetro di un cimitero, potrebbero scorgere da un pertugio o un cancello, una fievole luce tremolante, appena percettibile, saettare tra le tombe. Essa accompagnerà effimera i sogni o gli incubi della sua notte agitata.

L’immagine dei fuochi fatui mi ha sempre affascinato

Quando da bambino il babbo o il nonno mi portavano a far visita ai nostri defunti, mi parlavano di queste fiammelle che si sprigionavano di notte nei cimiteri e gironzolavano tra le tombe come se fossero vive.
Anzi, la leggenda voleva che quei tenui fuocherelli fossero le anime dei morti – mi dicevano.

Per andare a casa di alcuni parenti si passava per una strada provinciale che scorreva accanto a un camposanto. Quando a tarda sera tornavamo a casa, sbirciavo dal finestrino della nostra Renault 4 azzurra fin dentro quel luogo puntellato di lumini immobili, sperando di riuscire a vedere una di quelle fiammelle.

Non è mai successo.

Pur essendo rimasto tante volte, per lavoro, nei cimiteri fino a tardi, non sono mai riuscito a osservare un fuoco fatuo, che è rimasto una figura leggendaria della mia infanzia.

Eppure…

Quando ho cominciato a fare questo mestiere ho conosciuto un vecchio custode prossimo alla pensione. Una volta entrammo nel discorso dei fuochi fatui e lui mi disse che sono apparizioni talmente veloci che difficilmente si possono vedere.

– Però voglio mostrarti una cosa – mi disse mentre mi invitava a seguirlo.

Raggiungemmo uno dei campi più vecchi del cimitero, dove molte tombe avevano ceduto nel tempo. Per terra, qua è là, c’erano piccoli fori e crette nel terreno.

Da una delle innumerevoli tasche del suo giubbotto, estrasse l’accendino e si accucciò in prossimità di una fessura, fece leva sulla pietra focaia e la fiamma appena accesa si propagò flebile, saettando per qualche decina di centimetri.

Rimasi a fissare il fenomeno a bocca aperta, con l’ingenuità di un bambino, finché non scomparve. Avevo appena visto il mio primo fuoco fatuo.

Il fenomeno è causato dall’uscita in superficie di piccoli afflati di metano o altri gas infiammabili, probabilmente derivati dalla decomposizione dei cadaveri, accesi – ma è una mia teoria – dalla dispersione elettrica dei numerosi allacci per l’illuminazione delle tombe che si snodano nel terreno.

Non ho mai ripetuto l’esperimento del vecchio custode, ma il pensiero dei fuochi fatui mi affascina ancora come quando ero piccolo.

 

Superstizione

amuleti

Alla base di questo blog c’è l’intenzione di raccontare i fatti che mi accadono realmente.
Certo, non tutte le giornate lavorative sono ugualmente interessanti; in questo caso mi affido ai ricordi.
Oggi era uno di quei giorni.
Volevo parlare dei rapporti umani che si instaurano con i visitatori dei cimiteri, poi succede che mia moglie esce a comprare il pane e quando torna, mi fornisce il post del giorno.

Mentre la stava servendo, la fornaia se ne esce con qualcosa tipo:
– Questa sera devo andare a trovare una cara vecchina, mia vicina, che è morta stamani – sospira – poi mi tocca andare in chiesa.
– Per il funerale? – cerca conferma mia moglie.
– Nooo, non lo sai? Dopo che sei stata a trovare un morto devi andare subito in chiesa, altrimenti ti segue a casa – chiosa la fornaia.
La mia signora affila le armi, ormai ha un vasto repertorio per rispondere a certi discorsi:
– Allora io devo avere un sacco di ospiti!
La fornaia la guarda interrogativa, in attesa di delucidazioni.
– Mio marito lavora nel settore funebre…
La signora prima la guarda con compassione, poi sembra imbarazzata e dopo un rapido scambio di battute il discorso è liquidato.

E’ incredibile ma ancora oggi la superstizione intorno al mio settore è molto diffusa.

Lo scongiuro più evidente lo compiono i maschi: al passaggio di un carro funebre, la mano cala inesorabilmente per scacciare chissà quale malaugurio.
Questo accade per ogni generazione, lo fanno tanto i ragazzini quanto gli anziani. Una volta un sacerdote si risentì nel vedere un signore attempato che maltrattava il cavallo dei suoi pantaloni; abbassò il finestrino e urlò:
– Ma cosa ti tocchi! Tanto prima o poi porto via anche te!

Tempo fa ero in un piccolo paese per un funerale. L’autista del carro doveva effettuare una stretta curva, quindi si allargò abbastanza per percorrerla con una sola manovra. Così facendo rallentò fin quasi a fermarsi.
In prossimità della strettoia c’era un bar, fuori alcuni avventori. Uno di loro, lo ricordo ancora con un barbone bianco e una grossa pancia, si sporse indietro per toccare con la mano (opportunamente piegata a mo’ di corna), la maniglia di ferro della porta d’ingresso. Così facendo la sedia cadde indietro e l’uomo non la seguì solo perché si aggrappò a quell’appiglio.

E’ ancora molto diffusa, l’abitudine di coprire gli specchi nelle abitazioni in occasione di un decesso. In passato si credeva che lo specchiarsi del defunto catturasse la sua anima e nella notte i familiari, potessero vedereci riflessi gli occhi del caro estinto.

Alcuni colleghi hanno sentito dire che se dopo la funzione funebre il feretro esce dalla chiesa più pesante che all’ingresso, significa che il defunto non ha completamente espiato i suoi peccati.
A parte il fatto che non esiste uno studio comparato sul peso nelle due occasioni, mi sembra strano che ciò sia vero, visto che prima di uscire il sacerdote dichiara assolto ogni peccato.

Talvolta la superstizione ci accompagna anche dopo la morte. Sono in molti a mettere nelle tasche dei defunti qualche monetina. Servirebbe per pagare il trasporto sulla barca di Caronte.
In questo caso ci sono due teorie.

La prima rende grottesca questa superstizione e fa riferimento all’immaginario dantesco: il traghettatore porta le anime all’inferno e quindi non è troppo bello pensare che un proprio caro potrebbe avere bisogno di quel tipo di passaggio.

Nell’altra l’accenno è al barbuto barcaiolo dell’età classica, che portava tutte le anime, indifferentemente dall’indole tenuta in vita, nell’Ade, il regno dei morti.
Probabilmente la credenza si riferisce a questa ipotesi; ho trovato la conferma sul web: fin dall’antichità era usanza mettere due monete sugli occhi dei defunti proprio per assolvere a quel debito.

Appena riuscirò a raccogliere altri aspetti di questa pratica tutta italiana di fare gli scongiuri, li presenterò in un nuovo post.