Vermi

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Chi non ha sentito dire almeno una volta nella vita che “siamo cibo per vermi”?

E’ un’affermazione cinica, spietata, priva di speranza ma è piuttosto diffusa e abusata in molti film o libri, quando si tratta di fare riferimento all’inevitabile destino di ogni essere vivente.

E poi ci si può imbattere nel suo senso più letterale.

Si deve esumare un piccolo settore circondato da un muretto di mattoni. Lì dentro lo scavatore non riesce a muoversi come al solito: anziché mettersi di fronte alla tomba, resta di lato.

La ruspa comincia a togliere la terra gradualmente, dal centro del sepolcro verso il “piede” della cassa.

Compare il coperchio, ancora intatto. Per facilitarmi il compito l’operaio cerca di liberarlo anche sulla parte alta, ma alla seconda bennata il tappo di legno frana, di colpo; la tavola centrale (delle tre che lo compongono) cede alla spinta infilandosi dentro al feretro.

Alzo un braccio, segno convenzionale per bloccarlo e subentrargli nello scavo con la pala.

Scendo nella piccola fossa tenendo i piedi abbastanza larghi da non forzare sulle assi smosse del coperchio. Le tolgo, poi scavo quanta più terra possibile dall’interno della cassa usando una mestola da muratore, piccola abbastanza per evitare di smuovere le ossa.

La terra sovrastante la testa è rimasta al suo posto, creando una piccola volta, una nicchia. Non posso toglierla; al primo tocco franerebbe tutto all’interno, rendendo ancora più difficoltoso il recupero dei resti.

Mi piego sulle ginocchia per cominciare l’operazione; intorno la pioggia ha reso il terreno morbido e scivoloso. Per recuperare la parte alta dello scheletro sono costretto a mettermi in ginocchio sulle assi laterali del feretro e piegarmi in avanti.

La mia tuta bianca alla “R.I.S.” è idrorepellente e non corro il rischio di bagnarmi i vestiti.

Ripongo il teschio nella cassetta di zinco, poi continuo il lavoro cercando un equilibrio più stabile. Vedo che i vestiti sono integri e cerco di sollevare la maglietta mantenendo dentro tutto il contenuto, per riversarlo nella scatola.

È lì che si trova la quantità più numerosa di ossa e se riesco nel mio intento faccio un piacere ai familiari; sono concentrati su quello che faccio e posso evitargli di vedere uscire da quelle vesti consunte, il posto dentro cui, oltre un decennio fa, batteva il cuore del padre.

Ci riesco. Mi riporto in posizione, il mio sguardo cade sul fondo del feretro: balzo in piedi allibito; il mio collega interviene pensando a un problema.

– Tutto bene – lo tranquillizzo – Ma qui sotto c’è qualche ospite imprevisto.

Migliaia di piccoli vermi rossi e arancioni si contorcono nel fango sottostante. Non avevo mai visto niente di simile. Era un brulicare incredibile, una stonatura: tutta quella vita in un letto di morte

Anche i familiari li vedono, provano disgusto e risentimento per la presenza di quelle creature insieme al corpo del padre.

In questi casi cerco sempre di rincuorare le persone.

– Potrebbe essere stata la sua fortuna – spiego loro – La presenza di questi animali rende la terra ricca di sali minerali, in questo modo la mineralizzazione – un modo carino per definire la decomposizione – avviene più velocemente.

Sì, effettivamente adesso sono più sollevati.

Finisco il lavoro iniziato mentre penso che forse sono apparso ridicolo agli occhi dei presenti; la maggior parte delle persone troverebbe normale imbattersi in un verme, mentre a farli sobbalzare sarebbero di certo i resti di un corpo umano.

 

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